Recensione: “L’altro figlio” di Sharon Guskin

Buon pomeriggio a tutti, oggi vi parlo di un libro che ho terminato di leggere giusto ieri sera e che mi ha ammaliata. Si tratta del romanzo d’esordio di Sharon Guskin, un’autrice statunitense che spero proprio di rileggere presto. L’avevo adocchiato da tempo in libreria, perché la copertina ha quest’aura di mistero che mi affascinava e la trama mi era sembrata molto originale. Non mi sbagliavo.


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Titolo: L’altro figlio

Titolo originale: The Forgetting Time

Autore: Sharon Guskin

Editore: Neri Pozza

Collana: I narratori delle tavole

Pagine: 350

Data di pubblicazione: 19 gennaio 2017

Prezzo: brossurato € 18,00 / ebook € 9,99

Janie, architetto newyorkese, è una madre single che vive per il piccolo Noah, nato da una notte di passione consumata su una spiaggia di Trinidad con un perfetto sconosciuto. A quattro anni, Noah mostra di conoscere cose di cui nessuno gli ha mai parlato. Un bambino prodigio, e tuttavia un bambino con oscuri comportamenti che sgomentano la madre. Janie non riesce quasi mai a lavargli le mani, poiché Noah è talmente terrorizzato dall’acqua da incorrere in vere e proprie crisi d’asma. Spesso poi fa brutti sogni, incubi da cui si sveglia di soprassalto con gli occhi vitrei, chiedendo di poter tornare nella sua «vera casa», di riabbracciare la sua «vera madre». Il giorno in cui viene convocata dalla preside della scuola materna, allarmata dal fatto che Noah abbia rivelato alla sua insegnante di essere rimasto con la testa sott’acqua talmente a lungo da aver «perso i sensi» – un’espressione assai inconsueta per un bambino di quattro anni – Janie crolla e comprende che, per garantire al figlio una qualche prospettiva di vita normale, non le resta che sottoporlo a una perizia psichiatrica. L’esistenza dello psichiatra Jerome Anderson, invece, è da tempo priva di prospettive. Dopo la morte della moglie e la terribile diagnosi di afasia primaria progressiva, un tipo di demenza degenerativa che colpisce le aree del linguaggio, il medico ha deciso di abbandonare per sempre le proprie, infruttuose, ricerche sulla vita dopo la morte.

Janie, un architetto newyorkese, ha un bellissimo bambino di quattro anni, Noah, con capelli biondissimi e due occhioni azzurri che, a volte, sembrano non riconoscerla. È capitato che la sera, nel suo letto, lui le dicesse di voler tornare a casa, la sua vera casa e di volere “l’altra mamma”. Janie non bada troppo alle fantasie di suo figlio, che è evidentemente un bambino molto dotato. Si è spesso sentita fiera e orgogliosa del suo bambino così intelligente, che sapeva cose che gli altri bambini non avrebbero mai immaginato. A scuola però, le maestre non la vedono così: Noah parla spesso di Voldemort e di armi che lui stesso ha maneggiato, spaventando gli altri bambini. Solo che Noah non ha mai letto Harry Potter né visto i film e, cosa più importante, non ha mai maneggiato armi. Come può pensare la maestra una cosa del genere? È solo un bambino di quattro anni! Ma da qualche tempo a questa parte le cose sono peggiorate. Gli incubi notturni sono diventati strazianti, contorcimenti che finiscono spesso in nottate di pianto per il povero Noah che vuole la sua mamma e la sua vecchia casa. Anche la paura per l’acqua è peggiorata: quella che era iniziata come una piccola fobia, comprensibile in un bambino così piccolo, si è trasformata nel tempo in puro terrore, tanto che è quasi impossibile anche fargli lavare le mani. Noah è sempre sporco, appiccicoso, ma non c’è verso di farlo avvicinare all’acqua. Di notte, sogna di essere imprigionato sott’acqua e di non riuscire a liberarsi, prendendo a pugni la madre, gridando “Voglio uscire! Voglio uscire!” Quando il bambino racconta a scuola di aver perso i sensi dopo essere stato molto tempo in acqua, le maestre esprimono alla madre la loro preoccupazione, suggerendole di farlo seguire da uno specialista. Dopo aver sentito il parere di vari medici, Janie è furiosa e abbattuta allo stesso tempo, perché nessuno è in grado di aiutare suo figlio. Una sera, in preda alla disperazione, navigando su internet alla ricerca di un appiglio, s’imbatte in un video che parla delle ricerche del dottor Anderson, un noto psichiatra, condotte su bambini che ricordano dettagli precisi sulle loro vite precedenti, e che, “a soli due o tre anni, dichiarano di provare nostalgia per ambienti e persone” che non hanno mai visto nella vita attuale. Inizialmente Janie pensa che si tratti di idiozie new age da quattro soldi, ma ripensando ai comportamenti di Noah si rende conto della gravità della situazione, e inizia a porsi una domanda, probabilmente la più difficile e allo stesso tempo la più facile che un genitore possa porsi: fino a che punto si è disposti a spingersi per salvare il proprio figlio? La risposta arriva subito: “oltre il limite”. Ed è proprio oltre il limite della possibilità e della ragione che si spingerà questa madre, incontrando il dottor Anderson, un uomo che ha dedicato tutta la sua vita alla ricerca e che ora deve fare i conti con una malattia degenerativa che gli toglierà la parola. Ma prima che tutto sia finito, Anderson deve finire il suo lavoro, il suo libro, come aveva promesso a sua moglie prima che lei morisse. Per questo, Anderson decide che Noah sarà il suo ultimo caso ma, imbarcandosi in questa nuova avventura che lo farà sentire vivo ancora una volta, il dottore non sa quali sfide lo attendono, forse le più insidiose di tutto il suo percorso come uomo e come studioso.

“L’altro figlio” viene categorizzato come thriller psicologico, ma al suo interno, a partire dalla metà circa, si apre al lettore una nuova prospettiva che rientra benissimo nel genere giallo, una prospettiva che all’inizio del libro non ci si sarebbe aspettata minimamente: c’è una vittima, un colpevole, ci sono indizi e prove che sono sempre stati sotto il nostro naso. Ho parlato dell’argomento, ma non ho ancora fatto riferimento ad una parola che spaventa molti, attorno a cui ruota tutta la storia: sì, stiamo parlando di “reincarnazione”. Ma il libro della Guskin è molto più che un libro sulla reincarnazione. È un libro sulle infinite possibilità della vita, sulla fiducia che riponiamo negli altri, sugli affetti che oltrepassano i confini dello spazio e del tempo.

You only live once, si vive una volta sola. Questo diceva la gente, come se la vita fosse importante per il fatto che ne abbiamo una sola. E se fosse il contrario? Se le nostre azioni fossero ancora più importanti per il fatto che la vita si ripete all’infinito e le conseguenze delle nostre scelte si ripercuotono da un ‘epoca e da un continente all’altro? Se ci fossero date più occasioni per amare le persone che amiamo, per rimediare ai nostri errori, per imparare a vivere?”

Con una prosa coinvolgente e un ritmo narrativo che tiene sempre alta la tensione, l’autrice è riuscita a rendere credibile l’incredibile, supportando la storia con estratti dai libri degli studiosi Ian Stevenson e Jim Tucker, ricercatori presso la Division of Perceptual Studies della Facoltà di Medicina dell’Università della Virginia. All’interno del romanzo, sono infatti inserite pagine tratte dai libri dei rispettivi studiosi, intitolati “Bambini che ricordano altre vite”(Roma, Mediterranee, 1991) e “Il bambino che visse due volte. I ricordi infantili e il mistero di vite precedenti” (Sperling & Kupfer, 2009), che rendono ancor più credibile la storia che ci viene racconatata. Il punto forte del libro sono sicuramente i personaggi, vivi più che mai, fatti di carne, ossa ed emozioni, proprio come ognuno di noi, a partire dal bambino Noah/Tommy, che a soli quattro anni è diviso tra i sentimenti che prova per Janie e la sua vita attuale e quelli per la sua famiglia e la sua casa precedenti. Janie è una madre coraggiosa, pronta a tutto pur di vedere suo figlio guarire, ma, proprio per questo, per l’amore che prova per lui, angosciata dall’idea che Noah non sia mai stato davvero suo. Un romanzo che brilla di luce propria, sprigionata dal calore umano dei personaggi, che avrà un posto d’onore nella mia libreria. Vorrei raccontarvi molto altro ma vi farei troppi spoiler, per cui non posso che consigliarvelo all’ennesima potenza e augurarmi che vi piaccia tanto quanto è piaciuto a me.

Fatemi sapere cosa ne pensate!

Stay imbranation

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4 pensieri su “Recensione: “L’altro figlio” di Sharon Guskin

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